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Una conversazione con Onoe Ukon

28.04.2025

Nome di spicco del teatro giapponese, Onoe Ukon è il nuovo ambassador di FOPE Japan. Pronipote della famosa sesta generazione Onoe Kikugorō, Ukon è un interprete versatile che eccelle nei ruoli maschili, in quelli femminili (onnagata) e nella danza, ed è considerato uno dei più raffinati giovani attori del kabuki – la tradizionale forma di teatro giapponese che unisce danza, recitazione e musica. FOPE lo ha incontrato a Tokyo, in occasione di una presentazione speciale. Abbiamo parlato di gioielli, teatro e delle sottili connessioni tra queste due forme darte.

Di solito indossi gioielli?

Mi sono sempre piaciuti i gioielli, e in passato ne indossavo molti. Ne portavo diversi, senza preoccuparmi troppo dellarmonia tra di loro. Guardando indietro, credo stessi semplicemente esplorando il mio stile personale. Non volevo essere troppo appariscente, né somigliare al tipico attore kabuki. Mi piaceva lo spirito del kabuku (creare un effetto a sorpresa”) nel kabuki – il carattere estremo e anticonvenzionale degli interpreti. Distinguersi era necessario, ma volevo farlo in modo che sembrasse naturale, senza sforzo.

 

I costumi del kabuki sono piuttosto vistosi, vero?

Durante il periodo Edo, i teatri erano illuminati solo da candele e luce naturale. Gli attori iniziarono a indossare kimono sgargianti perché con gli abiti scuri era difficile capire chi si muoveva in scena. È da lì che nasce la tradizione dei costumi vistosi – per necessità. Lo stesso vale per il trucco bianco. Non per ottenere chissà quale effetto drammatico, ma semplicemente per rendere il volto visibile nella penombra. Con il tempo, queste scelte pratiche sono diventate un simbolo del kabuki. Oggi, con le luci che si usano attualmente, quegli elementi non sono più necessari. Credo che tradizione e semplicità siano entrambe importanti. Naturalmente, semplicità non significa non fare nulla. È un concetto che cerco sempre di tenere a mente.

È per questo che sento una forte affinità con i gioielli FOPE: incarnano una ricerca silenziosa dellessenziale.

Poi cosa è cambiato nel tuo stile?

Il mio interesse si è spostato verso oggetti di alta qualità, e il mio stile è diventato più essenziale. Prendi Rick Owens, per esempio: i suoi abiti sono eccentrici, particolari, ma anche eleganti, non c’è dubbio. È quell’eleganza che ho iniziato a cercare anche nei gioielli. Ultimamente mi sento attratto da oggetti che portano con sé una storia, ed è per questo che sento che FOPE mi rispecchia. Ciò è profondamente legato al kabuki. Se da una parte i movimenti dinamici ed elaborati catturano lattenzione, dall’altra c’è una grande forza nella staticità – nella capacità di esprimere emozioni senza muoversi. Ciò che conta davvero, in quei momenti, è la dignità dellattore, la sua presenza. Con lesperienza ho iniziato a riflettere più a fondo su questi aspetti e ora li vedo riflessi anche nel mio stile. È per questo che sento una forte affinità con i gioielli FOPE: incarnano una ricerca silenziosa dellessenziale.

 

Cosa ti piace dei gioielli FOPE?

Sono leggeri e comodi. Trovo questa tecnologia delloro flessibile straordinaria – ha qualcosa di silenziosamente potente. Lequilibrio è importante, nella vita come nella professione dell’attore, e credo sia fondamentale avere contemporaneamente audacia e discrezione. Mi attraggono le cose che accolgono questa ambiguità – che vivono tra gli estremi. Come ho detto prima, mi sono innamorato di questi gioielli anche perché hanno una storia. E in questo riflettono chi sono in questo momento. Dignità, ricerca dell’essenza, storia – sento che questi sono i valori di FOPE, e forse è per questo che sento una connessione così forte con il brand, perché li riconosco anche in me stesso. Quando da FOPE mi hanno contattato per la prima volta mi hanno raccontato la loro storia, e ne sono rimasto colpito. Le cose che resistono nel tempo hanno un significato – lo stesso vale per il kabuki. Ma se non si riesce a stare al passo con i tempi, si rischia la compiacenza. Per questo credo sia sempre importante mantenere uno sguardo critico.

Trovi delle somiglianze tra la tua storia e quella di FOPE?

Anchio ho ereditato unimpresa familiare. La mia storia è stata plasmata dai miei antenati, ma sono il primo a vivere davvero all’intersezione fra tradizione e contemporaneità. Sento profondamente limportanza – e la responsabilità – di far parte di questa storia.

 

Il kabuki è unattività familiare, giusto?

Sì. Il kabuki è famiglia. Siamo legati da un forte senso di appartenenza, uniti dalla nobile causa di preservare la tradizione. Ma ciò che ci muove va oltre i legami di sangue – è limpegno condiviso a mantenere viva questarte. Vengo da una famiglia legata al Kiyomoto, uno stile musicale tradizionale che accompagna il kabuki. Mio bisnonno era un attore kabuki, e ora lo sono anchio.

 

Cosa ti affascina del kabuki?

Credo sia la vastità di temi che abbraccia. È intrattenimento, è storia, è cultura. È come un romanzo, un dramma, una performance, una cerimonia. Il kabuki è unarte performativa completa. Arte, ma anche spettacolo. Questa contraddizione, questa dualità, è parte di ciò che lo rende così affascinante.

Hai iniziato a recitare a tre anni, e oggi sei uno degli attori più famosi di quest’arte. Cosa continua a legarti al kabuki?

Quello che mi lega ancora al kabuki è la sensazione che i miei antenati vivano attraverso di me, ogni volta che interpreto un ruolo. Credo che tutti abbiano fatto l’esperienza di pensare “sono la persona che sono grazie a ciò che è successo prima di me”. Nel kabuki, questa forma di eredità è parte integrante dellarte stessa. Per me, tutto è iniziato quando ho visto un video di mio bisnonno, che non ho mai conosciuto. Quel momento mi ha segnato. È come se la sua volontà avesse attraversato il tempo e lo spazio per raggiungermi. Mi piace pensarlo. Ci sono stati momenti in cui sentivo di non farcela – ed è stata quella connessione a darmi la forza per andare avanti. Siamo legati dal sangue, e la sua presenza è così forte che lo ammiro anche senza averlo mai conosciuto. È questo il potere del kabuki: la capacità di unire le generazioni.

 

Gli anziani della tua famiglia sono stati i tuoi maestri. Tra le cose che ti hanno trasmesso, c’è qualcosa a cui tieni particolarmente?

Direi il piacere di recitare. Non voglio perdere la gioia di fare ciò che amo. Come dicevo, il kabuki non è solo performance – è intrattenimento. E se io per primo non mi diverto, non posso intrattenere il pubblico. Lo prendo molto seriamente, certo, ma allo stesso tempo voglio mantenere viva la capacità di sorridere.

 

E ci riesci sempre?

Per quanto io sia stanco, appena entro nel camerino quella sensazione sparisce. È grazie alle persone che ho intorno, i colleghi, il pubblico, che vado avanti. È quel legame umano che mi dà la forza di dare il meglio di me. Anche i sorrisi degli spettatori mi incoraggiano. Tutti i legami che ho instaurato grazie al kabuki continuano a rivelare la mia forza più autentica.

 

Ci racconti i tuoi sogni e obiettivi per il futuro?

Per anni il mio sogno è stato esibirmi nel Kagami Jishi, la stessa danza che interpretò mio bisnonno. E questa primavera quel sogno si è realizzato. Il mio prossimo obiettivo è farne il mio pezzo distintivo – qualcosa che il pubblico, in Giappone e allestero, associ al mio nome. Spero che da quella performance nasca qualcosa di nuovo. Sarei felice se la magia del kabuki riuscisse a uscire dai confini del Giappone e incantasse gli spettatori di tutto il mondo.