SC — Nasco come pittrice, quindi non mi sono mai considerata una fotografa di moda. Questo non toglie che, quando incontro progetti che collimano con la mia storia, come nel caso di FOPE, mi soddisfi prenderne parte, anche perché lo still life si avvicina al mio mondo e non necessita di formalismi. Credo che il segreto di questa spontaneità in fotografia, la stessa con il quale ho cercato di osservare i gioielli FOPE, nasca dallo sguardo libero dei social, un linguaggio inclusivo che viene dal basso e che influenza costantemente la cultura visuale contemporanea. La città è per me grandissima fonte di ispirazione. Mi sono trasferita a Milano per vivere quotidianamente input culturali tra arte, cinema e musica. Poter scegliere ogni giorno quale mostra vedere o dove andare ad ascoltare musica è essenziale, sono tutti elementi che traghetto all’interno della mia pratica. Nella vita quotidiana alterno periodi di lavoro nella mia casa-studio e giorni in cui mi scarico e vivo appieno la città. Mi rendo conto però di essere molto attratta dalla natura, forse perché vedo i contesti più provinciali come occasioni di raccoglimento. Il mio è un processo a fiore, chiudersi per creare e aprirsi quando si ha bisogno di fare entrare, e per questo stare al centro è necessario tanto quanto uscirne.